Dodici preconcetti (e falsi) sulla fame...

 

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Dodici preconcetti (e falsi) sulla fame...



Per comprendere meglio la fame, ocorre porre fine a un certo numero difalsi e persistenti preconcetti.


Sono spesso idee datate che si riferiscono a situazioni passate: così, la fame come conseguenza di una penuria di viveri corrisponde abbastanza bene alla spiegazione delle carestie passate, e non più alle crisi alimentari attuali (Leggere di più sulle crisi alimentari).


Queste idee sono spesso il risultato di una trattazione superficiale della questione della fame nella maggior parte dei media dove si dispone di poco tempo per presentare le notizie (da qualche secondo a qualche minuto al massimo!). La conseguenza di questo stato di cose è che ci si limita a esporre solo le cause immediate della fame, senza cercare di comprendere le cause profonde (la causa della causa, e la causa della causa della causa...). Così, il clima e le intemperie (siccità o inondazioni) sono citate sempre per spiegare la fame senza cercare perché non sia stato fatto niente in tema di prevenzione o per evitare le conseguenze negative degli incidenti climatici.


La trattazione superficiale della fame è una delle ragioni per le quali i preconcetti sono duri a morire e persistono nell’opinione pubblica, impedendo di consequenza la presa di coscienza di cosa si deve fare per risolvere veramente il problema della fame.


Qui passeremo in rassegna qualche preconcetto, sperando di rendere validi degli argomenti per venirne finalmente  a capo:


Preconcetto 1 : la fame è dovuta a una mancanza di disponibilità di cibo


Preconcetto 2 : la fame è il risultato di una crescita demografica troppo rapida


Preconcetto 3 : la fame è dovuta a eventi metereologici o alla guerra


Preconcetto 4 : per risolvere il problema della fame, bisognerebbe aumentare l’aiuto alimentare


Preconcetto 5 : la fame è una coincidenza


Preconcetto 6 : è in Africa che si trovano il maggior numero di affamati


Preconcetto 7 : la fame è l’immagine dei bambini scarni dei campi profughi


Preconcetto 8 : la fame è la conseguenza della povertà


Preconcetto 9 : lottare contro la fame è troppo caro in tempo di crisi economica


Preconcetto10 : la questione principale da risolvere è la volatilità dei prezzi alimentari


Preconcetto11 : gli OGM sono la soluzione per la fame nel mondo


Preconcetto12 : l’agricoltura chimica è indispensabile per nutrire il mondo






Preconcetto 1 : la fame è dovuta a una mancanza di disponibilità di cibo


Falso.


Le disponibilità di cibo non sono mai state così importanti come al giorno d’oggi.


La Terra produce abbastanza calorie e proteine per nutrire la sua populazione attuale. Per stare in buona salute, l’essere umano deve avere a disposizione almeno 2000 calorie al giorno. La terra ne produce 3500 al giorno per persona. Il problema è la ripartizione del cibo: alcuni mangiano molto di più di quanto ne abbiano bisogno (questo provoca problemi di salute pubblica come l’obesità e le malattie cardiovascolari) e sprecano il cibo, mentre altri mangiano molto di meno del minimo richiesto per restare attivi e in buona salute.


Alla base di questo problema di ripartizione si trova la ripartizione dei redditi: quelli che non mangiano sufficiemente non hanno abbastanza mezzi di sostentamento (redditi, doni o risorse proveniente di reti di sicurezza sociale) per procurarsi il cibo di cui hanno bisogno.


Questa realtà è ben illustrata dal fatto che la fame esista in alcuni paesi esportatori di cibo. Questi paesi, esportano il cibo mentre una frazione importante della popolazione non mangia abbastanza.


L’esempio lampante di questa situazione è l’India dove nel 2010-12 più di 215 milioni di persone erano sottonutrite mentre allo stesso tempo il paese esportava riso. In realtà, si prevede che l’India sia il primo esportatore di riso nel 2012 (7 milioni di tonnellate di esportazioni previste).


Altrettanto in Etiopia, in piena crisi alimentare nel 2008, mentre milioni di persone erano nell’impossibilità di nutrirsi, i mercati erano riforniti, ma a prezzi al di sopra della portata dei più poveri.


Nel Ciad, alla fine del 2012, nonostante buone raccolte, si prevede che una buona parte della popolazione continui a fare fatica a comprare derrate alimentari a prezzi alti, a causa del loro indebitamento elevato.


Oggi il vero problema della fame non è dunque la disponibilità alimentare, ma l’incapacità nella quale si trova una parte della popolazione a disporre delle risorse necessarie per avere accesso al cibo disponibile. Non bisogna confondere la questione della fame nel mondo con la questione della soddisfazione dei futuri bisogni alimentari crescenti dell’umanità.Il fatto che la maggioranza delle persone sottonutrite vivano di agricoltura non deve farci pensare che produrre di più risolverà la questione della fame. Occorre arrivare a fare in modo di permettere a queste persone di disporre di mezzi di sussistenza sufficenti per vivere una vita decente e alimentarsi correttamente e di non essere esclusi dalle azioni in favore della sicurezza alimentare. Questo passa attraverso lo sviluppo di un’ agricoltura che possa dare lo spazio necessario a queste persone. Ma non sarà abbastanza, e bisognerà trovare un’alternativa allo sviluppo agricolo. Inoltre questo sviluppo agricolo non dovrà semplicemente essere sinonimo dell’aumento della produzione...






Preconcetto  2 : la fame è il risultato di una crescita demografica troppo rapida


Falso.


La popolazione mondiale è passata dai 3 miliardi del 1960 a circa i 7 miliardi  odierni, cioè un aumento di più del 133% in poco più di 40 anni.


La produzione alimentare mondiale, da parte sua, è aumentata ancora più rapidamente : più del 146% tra il 1961/63 e il 2005/07 a livello mondiale e più del 255% nei paesi non industrializzati.


Si prevede che la popolazione mondiale raggiungerà crica nove miliardi di persone nel 2050, cioè un aumento del 29%. Questo provocherà un aumento della domanda alimentare dal 60 al 70%, a causa di un cambio di livello e di composizione dell’alimentazione (più carne, frutta e verdura, e meno cereali e tuberi). Questo cambio di livello e di composizione è dovuto al miglioramento del reddito medio.


Il ritmo di aumento necessario alla produzione dei prossimi 40 anni sarà dunque notevolmente inferiore a quello dei 40 anni passati, anche se il regime alimentare continua a cambiare secondo la tendenza osservata (cfr. grafico). Va osservato anche che la quantità di cibo richiesta per eliminare immediatamente la fame è molto più piccola rispetto al cibo disponibile (meno del 1% della produzione alimentare mondiale secondo Trueba e MacMillan) e al cibo sprecato.


Passata e futura evoluzione della domanda agricola


   

Fonte : FAO


Tali cifre possono dare una sensazione di ottimismo, poichè lo sforzo da compiere in futuro sarà notevolmente inferiore a quello realizzato nel recente passato. Ciononostante sussistono alcuni interrogativi :


  1. Sarebbe possibile l’aumento della produzione adottando tecnologie di produzione che siano meno distruttive delle risorse naturali (genetiche comprese), meno produttrici di gas a effetto serra e più abordabili dall’ insieme dei piccoli produttori che costituiscono la maggioranza dei denutriti?

  2. I modelli di consumo del futuro potranno essere basati su regimi alimentari che hanno meno quantità di componenti onerosi in termine di risorse naturali (terra, acqua), come i prodotti di origine animale ?

  3. Si potrà finalmente ridurre in modo serio gli sprechi nel Nord e le perdite successive alla raccolta nel Sud ?


Si puὸ sperare che le cooperative di consumo (riduzione del consumo dei prodotti animali) di cui si puὸ osservare l’emergere specialmente nei paesi industrializzati si confermino nei prossimi decenni affinché la pressione sulle risorse del pianeta diventi più modesta del previsto. Si tratterà sicuramente di trovare i mezzi per incoraggiare questi cambiamenti.





Preconcetto 3 : la fame è dovuta agli eventi meteorologici o alla guerra


Falso


La guerra e gli eventi meteorologici estremi (siccità, inondazioni) possono avere un effetto drammatico per le popolazioni, gettandole in una situazione di estrema indigenza e malnutrizione, a causa della rovina delle coltivazioni o della disorganizzazione della produzione e degli scambi. Questi eventi e le loro conseguenze hanno ampia risonanza nei media. Ma qui si tratta solo della punta dell’iceberg della fame.


Per questo, nel 2005, a causa della crisi in Niger, in Sudan, nel Corno d’Africa e nell’Africa del Sud 35 milioni di africani si sono ritrovati in una situazione di emergenza che richiedeva aiuti alimentari. Questa cifra certamente molto impressionante è tuttavia insignificante comparata ai circa 250 milioni di persone che si trovavano in una situazione di insicurezza alimentare permanente sul continente africano.




Nel 2012, la crisi nel Corno d’Africa di cui la stampa parla molto colpisce circa 12 milioni di persone a Gibuti, in Etiopia, in Kenya e in Somalia, mentre in questi  paesi, si stima a circa 50 milioni il numero di persone che soffrono la fame cronica.


La vulnerabilità cronica e l’indebolimento fisico di milioni di persone fa sì che la minima crisi (economica, politica, sanitaria o climatica) possa gettarli in condizioni di estrema indigenza. Sono le cosiddette « emergenze dimenticate » in opposizione alle emergenze di cui si parla nei media. Questo fenomeno, poco visibile e dunque poco telegenico, costituisce tuttavia la realtà della fame. Quasi un miliardo di persone si trovano in questo modo in una situazione dove lo stato di sottoalimentazione impedisce loro di lavorare normalmente e vengono trasformati in vittime designate di malattie che sarebbero leggere per una persona perfettamente sana.





Preconcetto 4 : per risolvere il problema della fame, bisognerebbe aumentare l’aiuto alimentare


Falso


Se l’aiuto alimentare resta un mezzo per salvare vite umane in situazione di estrema emergenza (guerre, siccità, terremoti, ciclone, etc.), è estremamente costoso e tende a scoraggiare la produzione locale quando non viene correttamente utilizzata.


Così, uno studio ha dimostrato che ogni dollaro di cibo distribuito dagli Stati Uniti costa 2,13 dollari al bilancio americano, a causa di quasi-monopoli nella fornitura e il trasporto di prodotti, e l’utilizzazione di mezzi poco efficaci per il trasporto e la distribuzione locale. Inoltre, occorrono in media 5 mesi per far pervenire l’aiuto alimentare americano sul posto.


Nonostante il costo e la scarsa efficacia dell’aiuto alimentare, questo attira più risorse finanziarie che l’aiuto allo sviluppo agricolo. Così, nel 2002 i paesi dell’OCSE hanno assegnato il 4,8% del loro aiuto all’aiuto alimentare, contro il 4,7% all’aiuto allo sviluppo agricolo (Statistiche OCSE-CAS). All’incirca nello stesso periodo, la Commissione europea utilizzava il 5,5% del suo aiuto allo sviluppo dell’agricoltura, delle foreste e della pesca, e il 7,3% per l’aiuto alimentare.


Nel corso degli anni l’aiuto alimentare è diventato  un’istituzione propria che da un lato permette ai paesi industrializzati di sovvenzionare la propria agricoltura senza rischiare la collera dell’OMC, e dall’altro, di fare una concorrenza sleale ai produttori dei paesi non industrializzati nei paesi che non conoscono situazioni di emergenza. Così, grazie alla legge PL480, gli Stati Uniti hanno distribuito quasi 350 milioni di tonnellate in 50 anni, nonostante la diminuzione annuale delle quantità distribuite nel corso degli anni.


Infine, l’aiuto alimentare è stato ugualmente ampiamente utilizzato a fini geopolitici. Così gli Stati Uniti sono accusati di aver utilizzato l’aiuto alimentare per rovesciare il regime etiopie negli anni 80.


A livello locale, l’aiuto alimentare disorganizza le reti commerciali già modeste, diminuisce la domanda per prodotti locali, puὸ incoraggiare una tendenza alla dipendenza e ai cambiamenti nei comportamenti alimentari che possono contribuire alla penetrazione di prodotti d’importazione che non possono essere prodotti localmente (come il grano nei paesi tropicali).


Puὸ anche essere oggetto di deviazione in favore delle élite locali che a volte rivendono i prodotti consegnati dall’’aiuto. In alcuni casi, è stato ugualmente utilizzato per nutrire con minor spesa l’esercito oppure è stato riservato per zone considerate favorevoli al governo, ai danni di quelle che supportano l’opposizione (per esempio dal regime di Mugabe nel Zimbabwe).


Infine, l’aiuto puὸ avere un effetto negativo sul sostegno apportato dai governi allo sviluppo agricolo. Così, il primo ministro dell’Uganda, nel suo discorso introduttivo alla prima riunione dei ministri dell’agricoltura del Mercato comune dell’Africa orientale e meridionale (COMESA) nel novembre 2002, ha spiegato che l’insicurezza alimentare in Africa è dovuta dal fatto che alcuni responsabili pensano di disporre sempre di aiuti di emergenza in caso di crisi alimentari e che sarebbe meglio investire i pochi soldi che hanno immediatamente a disposizione in altre attività invece che nell’agricoltura.


In conclusione, l’aiuto alimentare è certamente utile, ma deve essere utilizzato solamente nelle situazioni dove il problema  è la disponibilità alimentare. Inoltre la sua gestione deve essere sottoposta ad una sorveglianza molto ristretta per evitare deviazioni. Ma in ogni caso, non costituisce una soluzione al problema della fame perché non cerca di risolvere le cause profonde dell’insicurezza alimentare ma solo di far fronte all’emergenza.





Preconcetto 5 : la fame è un coincidenza


Falso


La fame non è una coincidenza ma una conseguenza delle scelte politiche fatte dagli uomini. È il risultato diretto di un modo di organizzazione del sistema alimentare internazionale, della debolezza dei mezzi messi in opera per lottare contro la povertà, dell’abbandono nel quale l’agricoltura a conduzione familiare è stata lasciata nel corso degli ultimi decenni, mentre sono proprio i piccoli produttori agricoli a costituire la maggior marte  dei sottonutriti.


Così, i paesi non industrializzati hanno tendenzialmente ridotto la parte relativa delle spese a favore dell’’agricoltura e dell’alimentazione nel corso degli anni, e l’aiuto allo sviluppo dell’agricoltura è diminuito relativamente rispetto  all’ aiuto allo sviluppo passando circa dal 17 % del totale negli anni 70 al 3% all’inizio degli anni 2000. Malgrado questo, la produzione agricola è aumentata più rapidamente nei paesi non industrializzati che nei paesi industrializzati.


Se si cerca dietro le cause immediate dell’insicurezza alimentare, che sia cronica o che sia il risultato di una crisi, si nota che queste cause avrebbero potuto essere eliminate o considerevolmente ridotte se fossero state prese le decisioni appropriate dai governi o dalla comunità internazionale.


La crisi alimentare del 2007-08 ne è un esempio perfetto che puὸ essere spiegata da una serie di errori o mancanze in ambito politico. Questi errori o mancanze, sfortunamente, sono raramente casuali ma sono una conseguenza dei rapporti di forza che esistono sia nei paesi industrializzati che sono a favore dell’agricoltura che nei paesi non industrializzati che hanno la tendenza a penalizzare questo settore.


Questa constatazione, drammatica e scoraggiante che sia, deve tuttavia essere anche una fonte di speranza. Se la fame è una conseguenza delle decisioni prese dagli uomini, questo significa che altre decisioni possono sconfiggere l’insieme di cause che portano alla fame.. È un messaggio di speranza che richiede che ognuno si attivi per influenzare i politici  in modo da portare, finalmente, all’eliminazione della fame.





Preconcetto 6 : è in Africa che si trova il maggior numero di affamati


Falso


La FAO  stima a 868 milioni le persone sottonutrite al mondo nel 2010-12 (ultimi dati ufficiali disponibili al momento della redazione del testo). Su questo totale 239 milioni di persone vivevano in Africa, cioè un po’ più del 27% del totale.


L’Asia nello stesso momento contava da parte sua 568 milioni di persone sottonutrite, cioè i 2/3 della popolazione mondiale che si trovano in situazione di insicurezza alimentare


La sola India comprendeva 217 milioni di sottonutriti (poco meno dell’Africa), mentre la Cina, dove c’è stata una riduzione notevole della fame nel corso degli anni, aveva ancora una popolazione di circa 158 milioni di sottonutriti.


Questa idea errata è dovuta al fatto che l’Africa è soggetta maggiormente a situazioni estreme e crisi alimentari dovute sia alla guerra, sia a fenomeni meteorologici ed è dunque molto presente nei media che si limitano generalemente a coprire questo tipo di crisi. A tal titolo è ugualmente più presente degli altri continenti nelle campagne delle ONG attive nell’aiuto alimentare di emergenza.


Consultare il rapporto della FAO sulla situazione dell’insicurezza alimentare nel mondo 2011




Preconcetto 7 : la fame è l’immagine dei bambini scarni dei campi profughi


Falso


Queste intollerabili immagini di bambini in situazione di estrema denutrizione durante le crisi che si trovano in prima pagina in tutti i media non sono rappresentative del fenomeno della fame. Queste sono immagini di situazioni estreme che fortunatamente colpiscono solo alcune decine di milioni di persone nel mondo, come per esempio attualmente il Corno d’Africa. Il fatto che 260 000 persone siano morte di fame durante la carestia del 2008-2010 in Somalia è orrendo, ma un maggior numero di persone muoiono ogni anno prematuramente a causa della fame cronica.




Ma la maggioranza delle persone che soffrono della fame (circa un miliardo di persone) non presentano sintomi così estremi come i bambini che si vedono nelle immagini proposte dai media. Tuttavia si tratta di persone che sono in uno stato di debolezza fisica che spesso non permette loro di avere l’energia per lavorare e di uscire dalla situazione nella quale si trovano. Questa debolezza fisica li rende anche molto vulnerabili alle malattie perchè tende a indebolirli da un punto di vista immunitario.


Queste persone sono anche in situazione di grande precarietà economica che li rende incapaci di far fronte al minimo shock (scarsi raccolti a causa di una variazione climatica o di un attacco di parassiti, impennata dei prezzi alimentari, etc) che rischia di metterli in una situazione di estrema indigenza.


Questo è molto importante, perché le soluzioni appropriate per intervenire in situazioni estreme di emergenza (aiuto alimentare) non sono adattate alla maggior parte delle persone che soffrono della fame. Questi ultimi richiedono forme di sostegno differenti che permettano loro di uscire dalla precarietà e di essere pienamente autosufficienti lavorando per assicurasi un reddito sostenibile e sufficiente per far fronte ai loro bisogni di base in modo indipendente.






Preconcetto 8 : la fame è la conseguenza della povertà


Non solo...


La fame è una conseguenza della povertà, perchè la mancanza dei mezzi di sussistenza fa sì che alcune persone non abbiano accesso al cibo necessario per avere un’alimentazione corretta.


Ma non solo questo. La fame stessa mantiene le persone sottonutrite nella povertà. Esiste dunque un vero e proprio circolo vizioso fame - povertà.




In effetti, la povertà stessa è una conseguenza della sottoalimentazione cronica. Numerosi studi hanno dimostrato che la sottoalimentazione era un fattore di riproduzione di una situazione di povertà.


In effetti una persona sottonutrita vede il suo sviluppo fisico e intellettuale diminuito e la sua capacità di lavorare ridotta. Tale persona è ugualmente più suscettibile ad  ammalarsi, e dunque a non poter lavorare  affatto.


La sottoalimentazione è anche un vettore di eredità della povertà, perchéle donne indebolite da un’alimentazione insufficiente durante la gravidanza mettono al mondo bambini piccoli e fragili che avranno un handicap fisico e perfino intellettuale fin dalla loro nascita e nel corso della loro vita. Un bambino sottonutrito va meno bene a scuola in primo luogo a causa di un  deficit dell’attenzione – provocato dalla fame – ma anche, nella maggior parte dei casi, a causa di uno sviluppo intellettuale insufficiente.


Infine, la povertà è il nemico del rischio : un povero esiterà a  lanciarsi in attività economiche rischiose, che spesso sono le più redditizie.






Preconcetto 9 : lottare contro la fame è troppo caro in tempo di crisi economica


Falso


Lottare contro la fame è un investimento redditizio che genera crescita economica. Numerosi studi offrono prove necessarie a dimostrare che la riduzione della fame e il miglioramento della nutrizione hanno un effetto diretto sulla crescita economica. Una popolazione meglio nutrita ha la capacità fisica e intellettuale di partecipare attivamente e approfittare dei benefici generati dalla crescita economica.


Una serie di studi fatti dal Programma Alimentare Mondiale illustrano il costo della fame. A causa della perdita di milioni di ore di lavoro, di una diminuzione della produttività del lavoro, di freni all’apprendimento degli studenti, di decessi dovuti alla sottoalimentazione e di spese sanitarie supplementari, questi studi stimano che la fame costa annualmente 4,7 miliardi di dollari (16,5% del PIL) all’Etiopia, 3,7 miliardi di dollari all’Egitto (1,9% del PIL), 900 milioni di dollari all’Uganda (5,6% del PIl) e 92 milioni di dollari allo Swaziland (3,1% del PIL).


Le risorse necessarie per lottare in maniera sostenibile contro la fame, sviluppando l’agricoltura e l’occupazione nella zona rurale come nella zona urbana sono molto inferiori al prezzo della fame o alle somme che sono state sborsate per la risoluzione di altri problemi.


Così, per esempio, la FAO e la New Partnership for Africa's Development (Nuova associazione per lo sviluppo dell'Africa, NEPAD) hanno stimato nel 2002 che bisognerebbe investire annualmente 4,6 miliardi di dollari per raggiungere la sicurezza alimentare nel continente in meno di 15 anni. Questa cifra è estremamente bassa se la si paragona all’’aiuto apportato dai paesi dell’OCSE alla loro agricoltura (più di 350 miliardi di dollari per anno) o le risorse mobilitate dalla comunità internazionale per gestire la crisi finanziaria internazionale (fino a 2000 miliardi solo dagli Stati Uniti per finanziare i loro piani di stabilità finanziaria nel febbraio 2009).


Lo slancio impresso dalla Conferenza di alto livello convocata a Roma nel giugno 2008, seguita dal Vertice mondiale sull’alimentazione nel 2009 e la riunione del G8 all’Aquila nel mese d’agosto dello stesso anno aveva avuto come conseguenza promesse fatte dai paesi più ricchi per un finanziamento maggiore di 20 miliardi di dollari, in un momento dove la crisi alimentare colpiva i paesi poveri come i paesi ricchi. Sfortunamente, la crisi economica e finanziaria ha provocato un disinteresse dei paesi ricchi verso la questione alimentare. Questi paesi in definitiva hanno mobilitato solo pochissimi finanziamenti ulteriori (appena alcuni miliardi nel 2009)...






Preconcetto  10 : la questione principale da risolvere è la volatilità dei prezzi alimentari


Falso


Alla fine del 2010, con l’aumento osservato di alcuni prezzi alimentari, i media, le organizzazioni internazionali (FAO, OCSE, IFPRI, ecc.) e il G8/G20 presieduto dalla Francia hanno preso come tema prioritario la questione della volatilità dei prezzi, spesso prendendo volatilità e aumento dei prezzi come equivalenti nel loro discorso. Sono prese come equivalenti anche volatilità e speculazione...


Tuttavia, se la volatilità dei prezzi si riferisce all’imprevedibilità dei movimenti dei prezzi e viene definita dal loro grado di variazione (stimato dal coefficiente di variazione dei prezzi osservati), differenti studi riferiti nelle Prospettive agricole 2010-2019 della FAO e dell’OCSE mostrano che non è aumentata affatto nel corso di questi ultimi anni, e che è stata anche minore questi ultimi anni che nel corso deglii anni 70. Questa volatilità risulta dal fatto che i mercati agricoli collegano, da un lato, una produzione che dipende fortemente dalle condizioni climatiche e che non reagisce rapidamente alle condizioni del mercato, e, dall’altro, una domanda che è, anche essa, almeno per i prodotti di base, poco sensibile ai cambiamenti di prezzi idato che questi prodotti sono essenziali per i consumatori.


Questa situazione è favorevole all’impennata dei prezzi alimentari nel caso in cui ci sia una mancanza di disponibilità, tanto più se non ci sono scorte da mettere sul mercato per compensare il deficit di produzione o se i tassi di interesse bassi incoraggiano la costituzione delle scorte. È quello che si è verificato nel 2008 e che si è ripetuto ancora nel 2010-2011. È una situazione che puὸ anche verificarsi frequentemente in paesi enclavi  che a causa dei costi di trasporto proibitivi si ritrovano isolati dalle principali fonti di approvvigionamento esterne.


Anche se analizzare questo fenomeno dal punto di vista del funzionamento dei mercati potrebbe essere utile, non appare prioritario, perché va sottolineato che qualsiasi sistemazione della regolamentazione del mercato e delle politiche per ridurre la volatilità che si deve trattare come epifenomeno, non risolverà la questione dei fondi, cioè l’aumento sostenibile della produzione agricola a vantaggio dei produttori più poveri, la riduzione della sua dipendenza dal clima e l’incoraggiamento a mantenere un minimo di scorte di sicurezza.


È legittimo chiedersi se l’importanza attribuita alla questione della volatilità e della sua risoluzione da parte di una regolamentazione della speculazione è utilizzata come diversivo per nascondere il fatto che la Comunità internazionale non è stata in grado di rispettare gli impegni assunti nel giugno 2009 al Vertice Mondiale sull’Alimentazione di Roma e al Vertice del G8 dell’Aquila nel successivo mese di agosto, di mobilitare varie decine di miliardi di dollari da investire nell’agricoltura. Ma era prima del momento peggiore della crisi finanziaria e economica...






Preconcetto 11 : gli OGM sono la soluzione per la fame nel mondo


Falso


Gli OGM si trovano al centro di numerose controversie, la più recente delle quali è la conseguenza dello studio condotto dal professore Séralini sull’effetto della consumo del mais NK603 della ditta Monsanto sulla salute

.


I sostenitori degli OGM sottolineano la loro potenzialità nella lotta contro i parassiti, la resistenza agli erbicidi, alla siccità, il miglioramento dell’assimilazione degli elementi (fosforo, azoto) o il miglioramento del valore nutritivo del prodotto. Utilizzano spesso come argomentazione che gli OGM «contribuiranno a ridurre la fame nel mondo» per giustificare la loro promozione.


Gli oppositori degli OGM insistono sui rischi per l’ambiente (per esempio il maggiore uso di pesticidi - video di Greenpeace) e per la salute pubblica che questi organismi possono creare così come sulla questione dell’appropriazione privata del vivente (come per esempio i sementi della ditta Monsanto).


Dal punto di vista della fame nel mondo, si tratta di osservare se gli OGM possono costituire una soluzione. Considerando che la fame è essenzialmente una questione di distribuzione della ricchezza, di difficoltà d’accesso all’alimentazione per una proporzione importante della popolazione mondiale a causa della sua povertà, e che una parte importante della popolazione sottonutrita vive di agricoltura, si puὸ dire che:


  1. -È molto improbabile che gli OGM possano costituire una soluzione per le popolazioni che vivono di agricoltura e che soffrono la fame. In effetti, gli OGM sono accessibili unicamente per l’ acquisto di semi nel commercio, il che richiede mezzi finanziari che le popolazioni interessate non hanno. E sono molto più cari delle sementi convenzionali. Così le sementi di cotone OGM costavano 41€ il sacco nel Burkina Faso all’inizio del 2012 contro 1,2€ delle sementi convenzionali.


  1. -Inoltre, come la maggior parte delle sementi OGM ,sono utilizzabili solo una stagione (le sementi eventualmente recuperate da una raccolta OGM non hanno generalmente le stesse caratteristiche delle sementi acquistate inizialmente – in caso contrario il produttore dovrebbe pagare un canone dato che gli OGM sono oggetto di brevetti acquisti da ditte private) la spesa per il produttore deve essere rinnovata annualmente. Il costo d’utilizzo degli OGM è dunque proibitivo per i contadini i più poveri.

  2. -L’eventuale generalizzazione dell’utilizzo degli OGM da parte dei produttori in grado di comprarli rischia una diminuzione dei prezzi dei prodotti alimentari. I produttori più poveri avranno dunque più difficoltà a vendere i loro prodotti a un buon prezzo e vedranno il loro reddito diminuire, sprofondando ancor di più nella povertà, o spingendoli ad accelerare il loro movimento di uscita dall’agricoltura.

  3. -Per quelle persone che soffrono la fame e non vivono di agricoltura, la diminuzione dei prezzi che deriva  dall’eventuale generalizzazione degli OGM avrebbe un effetto positivo sul reddito reale (potere d’acquisto), ma a costo di effetti negativi sulla salute.


Non sembrerebbe dunque che l’utilizzo degli OGM sia una soluzione alla fame, al contrario!



Fonte: http://www.cartografareilpresente.org/article596.html



Per più ampie informazioni:


  1. -Colture transgeniche il punto di vista della FAO (2001)

  2. -Valutare i pro e i contro degli OGM (FAO 2003)

  3. -Biotecnologie agricole nei paesi in via di sviluppo: scelte e prospettive per le coltivazioni, le foreste, l’allevamento, la pesca e l’agroindustria di fronte alle sfide della sicurezza alimentare e del cambiamento climatico, FAO 2010

  4. -http://www.greenpeace.org/italy/it/campagne/ogm/  Sito anti OGM

  5. -http://www.ogm.org Sito pro OGM (in francese)






Preconcetto 12 : l’agricoltura chimica è indispensabile per nutrire il mondo


Falso


Benché quest’idea non si riferisce direttamente alla questione della fame, ma piuttosto a quella della capacità a medio o a lungo termine  dell’agricoltura mondiale di nutrire una popolazione crescente, il dibattito tra un’ agricoltura basata sull’utilizzo di prodotti di sintesi (fertilizzanti chimici, pesticidi e erbicidi) e un’ agricoltura meno dipendente da apporti di sintesi a forte contenuto di energia fossile (agricoltura ecologica, agricoltura biologica), sia pertinente quando ci si preoccupa della fame nel mondo.


Questo dibattito potrebbe articolarsi in due parti:


  1. -Un’agricoltura meno dipendente della chimica puὸ nutrire il mondo?

  2. -Quale effetto potrebbe avere lo sviluppo di un’agricoltura di questo tipo sulla fame nel mondo?


Sulla prima domanda, si sente frequentemente dichiarare dai leader agricoli, uomini politici, alcuni esperti e rappresentanti di grande ditte che l’abbandono dell’agricoltura convenzionale cosidetta «chimica» causerebbe una diminuzione della produzione dal 30 al 50%. Certamente, sostituire in modo precipitoso un’agricoltura convenzionale intensiva con un’agricoltura senza input di sintesi e che non abbia adottato altre pratiche colturali, avrebbe effetti devastanti immediati sulla produzione agricola. Questo  sfocerebbe in carenze nei prodotti agricoli, attaccati violentemente da diverse malattie e in competizione con differenti tipi di piante ospiti (erbacce).


Ma questa non è la vera alternativa. L’opzione alternativa è di sostituire l’agricoltura convenzionale con un’agricoltura che utilizza tecniche di gestione colturali (e di allevamento) basate sia sui risultati della ricerca che  su quelli di esperienze fatte con successo nel mondo intero. Questa sostituzione, che necessiterà una formazione dei produttori e un periodo di transizione porterebbe probabilmente a una leggera riduzione della produzione nelle zone coltivate in maniera molto intensiva con  agricoltura convenzionale, ma, come contropartita, con una produzione sostenibile che rispetta le risorse naturali e che emette meno gas a effetto serra. Questo riguarderebbe sopratutto l’agricoltura più intensiva dei paesi industrializzati e solo una piccola parte dell’agricoltura dei paesi non industrializzati dove l’agricoltura attuata dai piccoli produttori utilizza generalmente poco i prodotti di sintesi ed è relativamente poco produttiva. Invece, la promozione dell’agricoltura ecologica o biologica contribuirebbe ad aumentare fortemente la produzione dei piccoli produttori, e dunque compenserebbe benissimo la perdita dovuta alla produzione nei paesi industrializzati e aiuterebbe a riequilibrare la ripartizione della produzione agricola nel mondo. Anche nelle zone dove l’agricoltura utilizza moderatamente gli input di sintesi, la transizione verso un’agricoltura ecologica o biologica comporterebbe un aumento della produzione. Questo è quanto emerge dalla documentazione prodotta in occasione della Conferenza internazionale sull’agricoltura biologica e la sicurezza alimentare tenutasi a Roma presso la sede della FAO dal 03 al 05 maggio 2007. A sostegno di quest’argomento, uno studio dell’ Istituto Internazionale di Ricerca sulle Politiche Alimentari  (IFPRI) mostra che l’adozione dell’agricoltura biologica in Africa aumenterebbe fortemente la produzione agricola e ridurebbe le importazioni alimentari del continente (Halberg 2006). Il lavoro fatto da un gruppo guidato da Catherine Badgley stima che la generalizzazione dell’agricoltura biologica comporterebbe un raddoppio delle rese agricole nei paesi non industrializzati.



Fonti : Badgley e al., 2007


Sulla seconda domanda, la transizione dell’agricoltura convenzionale verso agricolture ecologiche o biologiche risulta chiaramente  di poter aver un effetto positivo sulla riduzione della fame nel mondo. Per tre ragioni principali:


  1. -la creazione di posti di lavoro nell’agricoltura. In effetti, questo tipo di agricoltura richiede maggior mano d’opera e una gestione più precisa rispetto all’ agricoltura convenzionale, che è altamente meccanizzata e dove la lotta contro le malattie, i parassiti e le erbe infestanti  avviene per via chimica e la gestione della fertilità con l’ applicazione di fertilizzanti chimichi. La gestione della fertilità del suolo e della lotta biologica richiede in effetti più lavoro rispetto all’agricoltura convenzionale. Più lavoro vuol dire più posti di lavoro che vuol dire anche un aumento dei redditi e dunque una maggiore capacità di accesso all’alimentazione che è la prima causa della fame nel mondo.

  2. -Siccome le tecnologie messe in vigore dalle agricolture ecologiche e biologiche richiedono maggiori input  queste sono più facili da adottare dai contadini poveri rispetto all’agricoltura chimica che richiede al produttore di avere la capacità di comprare i mezzi di produzione (sementi migliorati e brevettati, fertilizzanti, erbicidi, fungicidi e pesticidi). Esse permettono pure di raddoppiare (o anche di più) la produttività della terra e del lavoro rispetto all’agricoltura tradizionale favorendo così l’aumento dei redditi. I piccoli agricoltori vedrebbero dunque la loro produzione e la loro competitività significativamente migliorata rispetto ai maggiori produttori e ciὸ contribuirebbe a migliorare  la loro capacità di partecipazione al mercato, il loro reddito e le loro condizioni di vita. Delle simulazioni hanno mostrato che un aumento del 10% delle rese ridurebbe il numero di poveri di circa il 7% nell’ Africa subsahariana (Byerlee e Alex, 2005).

  3. -Le agricolture ecologiche e biologiche che si basano sulla coltivazione di numerose specie, spesso in associazione, riducono i rischi per il produttore diversificandole, contrariamente all’agricoltura «chimica» che spesso è un’ agricoltura di monocoltura maggiormente vulnerabile alle malattie e ai parassiti. La loro produzione è più stabile, questo contribuisce direttamente alla stabilità della sicurezza alimentare.


In conclusione, si nota dunque che l’agricoltura convenzionale detta «chimica» non è indispensabile per nutrire il mondo, né tanto meno potrebbe  risolvere il problema della fame. Al contrario, l’adozione su vasta scala di agricolture ecologiche e biologiche è più in grado di risolvere il problema della fame nel mondo, pur garantendo l’alimentazione della popolazione mondiale in maniera sostenibile nel rispetto della conservazione delle risorse naturali del planeta. Questo ridurrebbe anche l’impatto della produzione alimentare sul cambiamento climatico diminuendo la sua dipendenza dalle energie fossili.



Letture aggiuntive:


  1. -Diagramma di Christensen Fund che paragona l’agricoltura industriale e l’agricoltura ecologica (in inglese) Diagramma comparativo in inglese.png

  2. -Conferenza internazionale sull’agricoltura biologica e la sicurezza alimentare, FAO, Roma, 03 al 05 maggio 2007

  3. -Il mondo dell’agricoltura biologica - Statistiche e tendenze 2009 (in inglese)






(Materne Maetz, ottobre 2012

aggiornato a settembre 2013)


Tradotto da Mathias Maetz

e Francesca  Selvetti




 

Ultimo aggiornamento:    luglio 2014

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